di Silvana Tacchio
Vicinissimo il bene più grande
aperte le finestre del cielo
e lasciato libero lo spirito della notte
assalitore del cielo, che ha la nostra terra
sedotto, con molte lingue, impoetabili, e
rotolato la maceria
fino a quest’ora.
Ma se viene ciò ch’io voglio
Friedrich Holderlin
Mi sono avvicinata anni fa al Gruppo di Ricerca in Ariele sull’Uso Sociale del Sogno, perché infastidita dall’impotenza della politica, espressione di una società asfittica e anchilosata e a sua volta talmente ipertrofica e conservativa, da essere incapace di far fronte ai nuovi scenari della complessità e della globalizzazione.
La mia riflessione sulla polis e sull’Uso Sociale del sogno è inevitabilmente influenzata dall’osservazione degli accadimenti che negli ultimi anni hanno interessato il nostro ed altri Paesi e dall’esperienza di tre laboratori promossi da Ariele nel giugno e nel luglio 2013 e aventi come titolo Crisi e futuro.
Il momento storico che viviamo è caratterizzato da diverse crisi che hanno accompagnato e accompagnano i processi rifondativi delle istituzioni, ma un aspetto di negatività generalizzata gravava e grava sul potere politico. I fatti di cronaca a cui assistiamo hanno come punto terminale delle catastrofi che sembrano essere processi storici inevitabili, parti rilevanti del processo evolutivo delle idee e delle scelte politiche in cui prevalgono massima instabilità economica e sociale, confusione, conflitti, populismi, integralismi, distruttività… E’ possibile leggere un sentimento di impossibilità per l’individuo a cogliere gli eventi collettivi, senza rimanere schiacciato o manipolato. Ciò ancora maggiormente in tempi di predominio della comunicazione di massa.
La politica è un prodotto condiviso delle menti umane e le cause del suo svilirsi e del suo degradarsi vanno ovviamente ricercate anche nelle dinamiche inconsce che attraversavano individui, gruppi e organizzazioni della società .
La storia dell’umanità sin dalle origini è segnata dal problema dell’esistenza e della coesistenza, di come poter vivere in un mondo che obbliga alla convivenza e che trova significato e senso nella convivenza.
La vita della polis dipende dalla capacità organizzante delle forze altrimenti disgreganti che in essa si dispiegano e che essa contribuisce a dispiegare. Assistiamo ad un paradosso, o meglio ad un circolo vizioso, per cui non è possibile uscire da una concezione della politica rimanendo all’interno del sistema che l’ha generata: la polis con le sue istituzioni è un’acropoli arroccata, difesa, sempre più insostenibile e ingiusta.
La politica prima di essere prassi quotidiana è anche un pensiero che riguarda la modalità di concepire e regolare i legami e i rapporti e occupa una parte cospicua dell’immaginario sociale: di esso i cives della civitas si servono per anticipare mentalmente scenari relazionali futuri; quindi la politica è la realizzazione di un processo fondamentalmente trans-personale e per lo più inconscio che ha le sue origini nel modo in cui le persone concepiscono i loro rapporti.
Se la polis e la civitas sono metafore della mente, la tensione tra identità e diversità tra “unitas multiplex ” (E. Morin) è la condizione umana della globalizzazione e del futuro.
La polis e la civitas però non hanno più un futuro se non si sogna; la politica perde automaticamente la sua capacità di pensare il domani e finisce con il privilegiare l’aspetto più contingente legato alla gestione e alla amministrazione del potere che rischia di essere un potere senza immaginazione.
L’Uso Sociale del Sogno ha posto, a mio avviso, le premesse per andare oltre le dicotomie tra individuale e sociale e per poter lavorare in accordo con i modelli della complessità.
L’Uso Sociale del Sogno può consentire di ripensare la natura dello spazio politico e comunitario e la politica può riacquistare il suo senso originario di azione finalizzata al bene della collettività, se si è in grado di pensare il soggetto non più come individuo monade ma come pluralità.
… continuerò la settimana prossima definendo come l’Uso Sociale del Sogno ponga le basi per pensare al sogno come ad un sogno collettivo, come ad un elemento di potenziale sviluppo di creatività e di relazionalità tra gli individui, i gruppi e le istituzioni di appartenenza, tra le persone e la società in cui vivono.