di Federica Nardese
Oggi con Chiara Allari abbiamo condotto una matrice di Uso Sociale del Sogno nella scuola di master di Ariele.
Ringrazio i partecipanti del secondo anno e chi del terzo (e ultimo) anno ha voluto unirsi per provare questa esperienza.
Quello che mi sono portata a casa, a livello personale e come contributo alla ricerca del nostro gruppo, è questo:
- I sogni trovano sempre uno spazio di narrabilità:
Quando i partecipanti sono poco avvezzi al metodo, e più alto è il livello culturale, più c’è una tensione propositiva, legata all’idea di compito e performance. C’è anche, di solito, una sorta di “timidezza” che rallenta l’avvio della sessione.
Dopo che il conduttore pronuncia le fatidiche parole (la formula magica?) “chi ci racconta un sogno?” spesso c’è il silenzio.
Oggi una delle domande che i partecipanti ci hanno fatto è proprio legata a questo silenzio “ma se nessuno parla?”.
Ecco, questo timore razionale viene sempre magicamente disatteso: c’è sempre qualcuno che ha voglia di raccontare un sogno… di narrare una storia.
- I sogni sono fatti di seta rossa
Parti da un sogno e trovi infiniti legami e connessioni tra i vari racconti di sogni che seguono.
Ogni luogo, ogni personaggio, ogni emozione è intrecciato in fili di seta rossa.
- I sogni sono di tutti
Ogni sogno ci va vedere che, alla fine, non siamo poi così distanti nel nostro sentire e che le immagini che si palesano nell’ordine della notte ricorrono anche nei sogni degli altri.
Se mai vivi questa esperienza di condivisione, se senti i sogni solo come materiale di scarto da lasciar sgretolare all’arrivo del giorno, mai riuscirai a provare questo senso di condivisione e pienezza.
- I sogni sono coraggiosi e leggeri.
Non serve spiegare perché.